Articoli | 29 February 2012 | Autore: Antonio Massa

La cultura della manutenzione e i costi minimi per la sicurezza
Che l’Italia sia il paese dell’inaugurazione più che della manutenzione si sa. E allora vai con il varo di un cantiere, di un’area industriale, di un edificio pubblico con tanto di battimani dei cortigiani al seguito del politico di turno. Molte di queste pose di prima pietra, utili per la costruzione del consenso, lì o poco più in là sono rimaste, con danni enormi per le casse dell’amministrazione pubblica. Per non parlare di quando l’opera, portata a termine, è stata lasciata cadere a pezzi senza curarsi dell’effetto potente del tempo e dell’usura.
Come tanti meccanici e riparatori sanno, la scarsa cultura della manutenzione è tuttavia diffusa anche a livello del normale individuo, o dell’impresa più o meno grande. Rimanendo nel nostro campo, dopo aver magari speso fortune per acquistare veicoli dalle prestazioni esuberanti, ci si distrae e si pensa che non ci sia bisogno di cure costanti per evitare che un guasto da nulla si tramuti in danno grave, se non riparato in tempo. E sappiamo, purtroppo, come con frequenza tocchi mettere le mani su motori, catene cinematiche, telai e componenti vari negligentemente trascurati, con la pretesa che l’intervento di un meccanico chiamato con urgenza possa fare miracoli.
Può darsi che con i chiari di luna che stiamo vivendo il fenomeno si ridimensioni. Che cioè gli italiani, nel nostro caso i camionisti, con meno liquidità a disposizione capiscano che prima di cambiare il mezzo da lavoro è il caso di tenerlo in buone condizioni, non facendogli mancare la necessaria assistenza. Anche per poter rivendere meglio l’usato, spesso non preso nella dovuta considerazione a causa del diffuso desiderio d’avere un veicolo nuovo a tutti i costi. Desiderio, appunto, più che un bisogno; e saper distinguere tra bisogni e desideri non sarebbe male.
Che un possibile cambiamento nelle abitudini sia alle porte lo fanno presupporre da un lato la forte crisi dell’autotrasporto, la cui protesta generalizzata a gennaio ha paralizzato l’Italia, e dall’altro l’ancora balbettante mercato del nuovo, frenato dal rallentamento dell’economia che rende modesta la domanda di trasporto.
Chi ha seguito la protesta degli autotrasportatori avrà notato come una delle loro richieste sia il riconoscimento nelle tariffe dei “costi minimi per la sicurezza” per poter affrontare le necessarie spese per la manutenzione dei mezzi, senza la quale diventa pericoloso muoversi, per sé e per gli altri. Avevamo affrontato questo argomento nel numero scorso di NVI, facendo notare che camionisti e riparatori dovrebbero sentirsi animati da un comune interesse, per di più in sintonia con un’opinione pubblica sempre più sensibile alle tematiche legate alla sicurezza della circolazione.
Non si dimentichi che l’autotrasporto italiano conto terzi è formato da circa 115mila imprese, 95mila delle quali possiedono meno di cinque camion e che per questo motivo non hanno convenienza ad allestire una propria officina. La manutenzione devono farla presso officine adeguate alla loro taglia che possono quindi stare meglio sul mercato finché ci sono anche le flotte medio-piccole.

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